Cult movie

Un’idea del cinema che rovescia il tradizionale rapporto tra schermo e spettatore.

In una sala di proiezione ricreata, nuovi manichini di sembianze astratte, assistono allo spettacolo della vita che si rappresenta ogni giorno sulla strada, a voler indicare che il cinema siamo noi, gente nota e ignota, passanti ignari che mettono in scena il loro gioco quotidiano di impegni, incontri, di abbracci e di abbandoni, di fretta e di esitazioni, di premura e d’indolenza.

Come in un film di Resnais o di Lelouch, il caso, la coincidenza determina le varianti della vita, i suoi sentimenti, le sue fuggevoli emozioni.

Ma sul cristallo della vetrina, prende forma una clip che racconta la prossimità e la distanza di un incontro forse futuro, forse già avvenuto, che il gioco dell’immaginario mescola a figure mitiche della storia del cinema: Louise Brooks, Jean Paul Belmondo, Marcello Mastroianni, Jack Nicholson… Perché ogni frammento, anche il più apparentemente insignificante, può tramutarsi nel frame di una pellicola d’autore. E per un attimo, il comune passante divenire, con la sua storia, il personaggio di una storia più grande, di un immaginario collettivo in cui ciascuno è ‘qualcuno’ nella vita degli altri. Del resto la videocamera che interagisce con la proiezione della clip, da mezzo privato s’è fatto pubblico, produzione di scena, di narrazione collettiva.

Il ritmo di una canzone di Paolo Conte, le sue atmosfere sensuali e nostalgiche, che profumano di nebbia, di attese e di lontananze, il colore rauco e maschio della sua voce, è il pedale sonoro di questo breve racconto, di questo obliquo gioco del cinema e della vita.

The rhythm of a song by Paolo Conte, its sensual and nostalgic atmospheres, which smell of fog, of expectations and distances, the hoarse and male color of his voice, is the sound pedal of this short story, of this oblique game of cinema and life.



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